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3 ottobre a Lampedusa: proteggiamo le persone, non i confini

Protect people not borders: questo è il titolo del progetto che ci vede ogni anno partecipare alle giornate di Lampedusa, insieme a tante altre associazioni e ragazzɜ come noi.

Giornate di memoria ma anche di confronto, dialogo e costruzione comune. Nelle giornate attorno al 3 ottobre ricordiamo il naufragio di 11 anni fa, ci stringiamo intorno alle famiglie delle vittime, alle persone che sono riuscite ad attraversare il mare, aɜ nostrɜ compagnɜ che quel viaggio l’hanno fatto. In queste giornate guardiamo anche al futuro immaginando un Mediterraneo diverso, non di morte ma di ponti, di scambi, di identità che si intrecciano e si mescolano, proprio come il nostro Movimento.

 

Anche quest’anno siamo a Lampedusa, quest’isola porta d’Europa. L’anno scorso, il 2023, è stato letale. Come si legge sul sito di ResQ:

“Alla fine dell’anno l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha contato almeno 2.271 morti e dispersi solo sulla rotta del Mediterraneo centrale (3.041 nell’intero Mediterraneo), un aumento del 60% rispetto all’anno precedente. Come sempre, le stesse agenzie ricordano che sono sottostime, e i numeri reali non saranno mai accertati perché molte vittime non saranno mai recuperate. Era dal 2017 che non si contavano tanti uomini, donne e bambini morti in mare.”

Ci viene detto che nei primi 6 mesi del 2024 gli arrivi “irregolari” delle persone migranti in Europa sono diminuiti del 67% sulla rotta del Mediterraneo centrale, quella che ha come punto di arrivo l’Italia. Quello che non viene detto è che c’è un aumento degli arrivi tramite le altre rotte. Quello che non viene detto è quanto espresso in maniera cristallina da Gianfranco Schiavone in un suo interessante articolo:

“Le persone migranti proseguiranno comunque il loro viaggio verso l’Europa, soltanto più lentamente, con maggiori deviazioni e maggiore sofferenza e soprattutto maggiore sarà il giro d’affari legato al traffico di esseri umani che si declama voler contrastare”

Siamo a Lampedusa, dicevamo, proprio per abbattere i muri d’Europa.

Siamo a Lampedusa perché il nostro Movimento è un piccolo Mediterraneo, è un laboratorio di intercultura, perché tra noi parliamo mescolando parole che vengono da vicino e da lontano, balliamo tante danze e cantiamo in tante lingue.

Siamo a Lampedusa perché ci occupiamo del tema della libertà di movimento, delle migrazioni e dell’intercultura nei nostri gruppi locali, nelle nostre città da Palermo a Milano, passando per L’Aquila, e altre 14 città e con un gruppo tematico che studia e approfondisce il tema a livello nazionale.

Siamo a Lampedusa il 3 ottobre perché negli altri 364 giorni dell’anno ci occupiamo dei diritti della nostra generazione. E se i diritti non sono di tuttɜ lɜ ragazzɜ allora sono privilegi. E la libertà di movimento, l’essere accoltɜ, il poter andare a scuola, avere un tetto sopra la testa, un luogo sicuro e dignitoso in cui dormire e vivere, poter sognare un futuro migliore sono tutti diritti fondamentali. 

Proveniamo da grandi e piccole città, dai centri urbani e dalle periferie e viviamo le migrazioni in modi diversi: c’è chi vive in quartieri multiculturali e ha imparato a conoscere il diverso, chi è vittima del pregiudizio che dilaga nel dibattito pubblico e infine chi, e sono moltɜ, per essere qui ha attraversato il mare, anche da minore non accompagnatə. Ognunə di noi è testimone della forza e della determinazione che spinge a cercare un futuro, a non arrendersi di fronte agli ostacoli.

Noi vorremmo abbatterli questi ostacoli.

La narrazione politica vuole farci credere che le persone che cercano di arrivare in Europa siano una minaccia, si parla troppo spesso di invasione, di difesa dei confini, instillando una paura collettiva verso chi cerca di raggiungere il nostro continente. Noi conosciamo le ragioni per le quali le persone attraversano il mare e non abbiamo paura di 163 persone soccorse da una nave di un'organizzazione non governativa, abbiamo paura piuttosto del cambiamento climatico, diventato oramai prima ragione di spostamenti, abbiamo paura delle guerre che dilagano, abbiamo paura che i diritti vengano calpestati. 

Partecipiamo alla commemorazione del 3 ottobre non solo per solidarietà. I diritti, anche quelli già acquisiti, non sono mai scontati. Tutti i temi per cui ci battiamo noi giovani ogni giorno nei nostri quartieri, sono i tra motivi che spingono le persone, tra cui tantissimɜ ragazzɜ, a migrare.

Ci uniamo a Save the Children nel chiedere l’apertura di canali regolari e sicuri per raggiungere l’Europa e un’assunzione di responsabilità condivisa dell’Italia, degli altri Stati membri dell’Unione Europea e delle istituzioni europee affinché attivino un sistema coordinato e strutturato di ricerca e soccorso in mare per salvare le persone in pericolo, agendo nel rispetto dei principi internazionali e dando prova di quella solidarietà che è valore fondante dell’Unione Europea.

“Con guerre e conflitti che avanzano in maniera estremamente rapida, quella a cui assistiamo con profondo rammarico è una mancanza di impegno nei confronti dei trattati internazionali e del sistema globale di protezione dei rifugiati, richiedenti asilo da parte delle istituzioni europee e degli Stati Membri. L’approccio securitario e l’irrigidimento dei confini non fanno che rendere le condizioni di bambini e adolescenti, e tra loro dei minori stranieri non accompagnati, più precarie e pericolose."

Antonella Inverno, Responsabile Ricerca, Analisi e Formazione di Save the Children