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Dai like alle piazze e ritorno

Ti è mai capitato di pensare che un tuo like possa cambiare il mondo?

C’è chi starà pensando che questa è un’esagerazione, che per cambiare le cose sia necessario occupare le piazze. Ad altre persone invece saranno venuti in menti esempi di chi riesce ogni giorno a portare piccoli e grandi cambiamenti grazie agli strumenti digitali. 

La risposta è molto più complessa di così e in queste prossime righe proviamo a ragionarci insieme.

Ti è mai capitato di pensare che un tuo like potesse cambiare il mondo?

C’è chi starà pensando che questa è un’esagerazione, che per cambiare le cose sia necessario occupare le piazze. Ad altre persone invece saranno venuti in menti esempi di chi riesce ogni giorno a portare piccoli e grandi cambiamenti grazie agli strumenti digitali. 

La risposta è molto più complessa di così. Ne avevamo parlato qualche tempo fa, subito dopo la pandemia quando con Save the Children avevamo lanciato la consultazione "dai like alle piazze", sulla partecipazione civica onlife

In queste prossime righe vediamo cosa è cambiato e proviamo a ragionare insieme sull'attivismo digitale.

L’esempio di #blockout24 

Negli ultimi mesi assistiamo a una enorme mobilitazione, soprattutto della GenZ, contro il genocidio in Palestina. Le università si sono riempite di tende di studentɜ, le piazze di bandiere palestinesi e kefieh, i social di immagini atroci da cui non possiamo distogliere lo sguardo. Qualche settimana fa è iniziato anche il #blockout24, una protesta social virale che chiede alle persone di bloccare i profili di celebrità e influencer che non si espongono sul genocidio in corso a Gaza. Se superficialmente può sembrare un semplice trend con effetti minimi, dall’altro è il sintomo di una generazione che pretende di più, anche dai propri riferimenti pop. Basti pensare che questo movimento ha già portato Kim Kardashian a perdere 3 milioni di followers. 

Il tema in questo caso è chiedere a personaggi che hanno un determinato potere e privilegio di usare le piattaforme social per amplificare la voce di chi quel privilegio non ce l’ha.  

 

L’attivismo digitale 

L’esplosione di proteste e “flash mob” digitali, soprattutto dalla pandemia del 2020 in poi, ha dato la sensazione a molte persone di sentirsi parte di un cambiamento più grande, di partecipare ad un momento storico. I social diventano uno strumento attraverso cui dimostrare solidarietà e a una lotta politica e dare supporto a movimenti sociali. Condividere un reel su Instagram, twittare un articolo, firmare una petizione online, attività che non richiedono troppo sforzo o impegno politico, ma che comunque ci danno l’idea di star partecipando. Sono abbastanza? 

L’attivismo digitale può essere uno strumento potente, soprattutto se fatto in modo informato e coordinato, insieme a tante altre persone. Nel mondo dell'attivismo digitale, c'è però una parola che spesso viene sollevata: lo "slacktivism".  

 

Slacktivism what? 

Questo termine si riferisce alla tendenza delle persone di supportare una causa solo attraverso azioni simboliche online, senza approfondire, senza impegnarsi attivamente o contribuire in modo significativo al cambiamento reale. Spesso le azioni di “slacktivism” sono azioni individuali che nascono dalla volontà di mostrare approvazione per una causa o sentire gratificazione per aver fatto la propria parte. 

 

Le regole dei social 

Nel suo TED Talk, la ricercatrice e attivista Silvia Semenzin, sottolinea come se può sembrare che i social network siano luoghi liberi, orizzontali in cui tutto può accadere e tutti possono emergere allo stesso modo, la realtà è abbastanza diversa.  

“Le piattaforme digitali non nascono solo con l’obiettivo di connettere il mondo per renderlo un posto migliore, ma nascono con degli obiettivi commerciali. Gli algoritmi si occupano di categorizzarci assegnandoci delle etichette che permettono loro di inserirci in una scatola o in un’altra. Uomo, donna, bianco, nero, eterosessuale, queer, vegano, odia la pizza con l’ananas. Attraverso queste categorizzazioni gli algoritmi ci mostrano pubblicità sempre più personalizzate e in questo modo aumentano i profitti delle piattaforme. Ma tornando all’attivismo, l’attivismo che ricerca visibilità, deve sottostare alle logiche delle piattaforme.”   

Le regole dei social, secondo Semenzin, ci chiedono:

  • Identità monolitica: non c’è spazio per essere tante cose, per cambiare, dobbiamo creare il nostro “brand”

  • Semplicità: si semplifica l’informazione, si semplifica la nostra identità, si semplifica la nostra appartenenza

  • “Filter bubbles”: l’algoritmo a seconda dei nostri interessi, le nostre ricerche, i nostri contatti, ci mostra sempre più persone che la pensano come noi e sempre meno opinioni diverse, creando delle bolle

  • Performance: produrre tanto, velocemente, dire la propria su tutti i temi più caldi al più presto

L’attivismo ha bisogno di tutto il contrario per portare del cambiamento nel mondo: ha bisogno di dissenso, di conflitto, di metterci davanti a persone che non la pensano come noi, di darci gli strumenti per cambiare idea, di poter imparare insieme, di approfondire, di costruire collettivamente

Come possiamo fare attivismo digitale, quindi?

Non abbiamo un’unica risposta, ma possiamo sicuramente condividere cosa stiamo imparando noi del Movimento Giovani.

  1. Educazione, accessibilità e consapevolezza: approfondiamo i temi, parliamo con persone esperte, facciamo domande e mettiamoci in discussione, prima di esprimerci su un determinato tema. E quando ne parliamo, ricordiamoci che non tutte le persone hanno gli stessi strumenti, non tutti i temi sono affrontati in tutte le scuole o in tutte le famiglie. Cerchiamo di condividere le informazioni che apprendiamo in modo che siano comprensibili, senza semplificare ma senza dare nulla per scontato;

  1. Dai like alle piazze: le azioni online ci servono per mobilitarci sul territorio, partecipando a eventi, incontri o manifestazioni che supportano la causa in questione oppure organizzandone di nostri. Ognunə di noi può usare il suo tempo, le sue passioni e capacità per fare una parte di un’azione concreta collettiva;

  1. Advocacy: capiamo chi sono le persone che a livello di quartiere, città oppure nazionale prendono le decisioni su un tema che vogliamo affrontare e le contattiamo direttamente o con l’aiuto di organizzazioni partner. Scrivi lettere, inviamo e-mail o partecipiamo a incontri per far sentire la nostra voce e chiedere azioni concrete;  

  1. Nuovi spazi online: per coordinarci, imparare, scambiarci opinioni e costruire progetti abbiamo bisogno dell’online, soprattutto se le persone di uno stesso gruppo vivono in città diverse. Noi abbiamo costruito una community che ci permette tutto questo, uno spazio online che è un mezzo di collaborazione e costruzione di attivismo. Puoi farne parte anche tu, registrandoti qui!

  1. Spirito critico: sviluppiamo una consapevolezza critica delle nostre azioni online. Chiediamoci: stiamo realmente contribuendo al cambiamento o stiamo solo partecipando a una tendenza passeggera? Siamo onestɜ con noi stessɜ e valutiamo il vero impatto delle nostre azioni. Scegliamo di sostenere cause autentiche e di lunga durata che rispecchiano i nostri valori e convinzioni.

Cosa ne pensi? Entra nella community e parliamone insieme!